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Caso Ramy: proviamo a semplificare

  • waltervirga
  • 10 gen
  • Tempo di lettura: 4 min

Lo scorso 24 novembre, a seguito di un inseguimento degno di un film dipanatosi in piena notte tra le vie più centrali di Milano, perdeva la vita Ramy, giovanissimo passeggero di un motociclo che in precedenza non si era fermato ad un posto di blocco.

La dinamica dell’accaduto – diverso, invece, per l’epilogo – è abbastanza chiara.

A seguito dell’ordine di fermarsi al posto di blocco impartito dai carabinieri al conducente del mezzo, il guidatore non eseguiva e, al contrario, accelerava facendo sì che i carabinieri iniziassero l’inseguimento che si è protratto per più di 20 minuti, lo si ripete, di notte e tra le vie più centrali di Milano.

Sul punto si è detto e scritto di tutto: chi ha invocato il diritto alla vita (come se qualcuno lo negasse..) sostenendo che gli Agenti avrebbero dovuto interrompere subito l’inseguimento limitandosi a segnalare la targa per poi procedere il giorno successivo al fermo, o comunque agli accertamenti sul conducente e sul povero Ramy; altri, invece, hanno fatto notare che di fronte al mancato stop al posto di blocco fosse un preciso dovere dei Carabinieri quello di inseguire i trasgressori posto che da un lato il comportamento degli stessi poteva ragionevolmente far sorgere il sospetto della commissione di un qualche illecito (variabile, ovviamente, dal solo stato di ebbrezza, al trasporto di sostanze stupefacenti, ad un furto, alla detenzione di armi da fuoco e così in un crescendo sino al fatto che uno o entrambi i soggetti in fuga potessero essere, per esempio, dei ricercati pericolosi).

Insomma, di tutto di più…come sempre avviene in questo Paese nel quale anche una vicenda, almeno al suo inizio semplice, diviene metodo per dar fiato alla bocca e per buttarla in politica (nel peggiore dei modi, ovviamente!).

L’epilogo tragico della vicenda, vale a dire la caduta del motociclo con conseguente urto della testa di Ramy su un palo (il poveretto non aveva il casco allacciato e, perciò, lo aveva perso in una precedente fase dell’inseguimento) è nota a tutti.

È delle ultime ore, invece, la notizia che sembrerebbe che almeno in una fase dell’inseguimento i Carabinieri, così si carpisce da un video divenuto rapidamente virale on line, avrebbero avuto “l’intenzione” di “stringere” la traiettoria del motociclo per procurarne la caduta arrivando a dolersi del fatto che la manovra non avesse prodotto l’esito sperato.

Ovviamente i Sacerdoti – per loro diretta ed autonoma investitura – del “diritto alla vita” hanno immediatamente e nuovamente accusato le Forze dell’Ordine di violenza gratuita addebitando alle stesse quasi una sorta di dolosa premeditazione rispetto alla morte del giovane. Si attendono le prossime ore per leggere di qualcuno che utilizzerà le parole “squadrismo” e “fascismo”.

Ovviamente, così è, sul punto sarà la Magistratura a far luce e, pertanto, ci si rimette da bravi cittadini all’operato degli Organi inquirenti.

Un punto però, molto ma molto semplice, deve essere evidenziato.

La sicurezza, che tutti, nessuno escluso, chiedono a gran voce e promettono al momento in cui gettano in mare le reti per pescare qui e là qualche voto in più, ha dei costi.

I costi sociali – parlo di questi – sono rappresentati dalla naturale costrizione di alcuni diritti di libertà che cedono il passo di fronte, e nei limiti ammessi dalla legge, alla violazione di una norma che, a sua volta, è posta a salvaguardia del bene collettivo.

Ne consegue che, sic et simpliciter, se di fronte al mancato rispetto dell’ordine di fermarsi ad un posto di blocco i Carabinieri avessero reagito con il classico detto romanesco “vabbè so’ ragazzi” avrebbero a loro volta commesso un illecito (chi può escludere a priori che il motociclo trasportasse un terrorista internazionale o, per dire, componenti balistiche per la fabbricazione di un ordigno destinato a far saltare in aria Piazza Duomo o lo Stadio Meazza?).

In altri Paesi, ma dico subito che non mi sento di porli ad esempio senza se e senza ma, le regole di ingaggio delle Forze di Polizia prevedono che in caso di mancato rispetto dell’ordine di arrestarsi ad un posto di blocco, gli Agenti possano aprire il fuoco; in alcuni casi estremi la causale della morte di chi viene colpito dagli spari a seguito del mancato stop viene derubricata in “suicidio”.

Non penso che questi siano, lo ribadisco, esempi dai quali trarre spunto ma, contemporaneamente, non penso nemmeno che possa passare la linea secondo cui l’evento tragico “morte” di un sospettato (posterius) possa essere usata quale ragione per considerare criminale un gesto dovuto quale l’inseguimento (prius). Ho specificato l’obbligatoria sequenza logica da seguire perché dalle parti del “diritto alla vita” de noantri – per tornare al lessico romanesco – certe sfumature non vengono colte. Ad ogni modo, in attesa che su tutta la vicenda si faccia chiarezza, non essendo infatti detto che l’intenzione dei carabinieri di speronare il motociclo possa avere avuto una valenza causale sul sinistro successivo e quindi sulla morte di Ramy, anzi sembrerebbe proprio il contrario a sentire gli audio diffusi on line nei quali gli Agenti si dolgono dell’inutilità della manovra, non ci rimane da accettare il fatto che per tanti altri giorni si continueranno a sentire banalità ed assurdità da tutti i lati.

 
 
 

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